8 giorno
Ora è proprio finita, questo
pomeriggio si ritorna. Per fortuna, non è proprio il primo pensiero che ho
quanto mi sveglio. Del resto, 3 ore di sonno non sono tantissime e far ripartire il motore in queste condizioni non è sempre agevole. Ritento un colpo di coda, ma nulla, mi tocca alzarmi.
Doccetta, valigia e provo un’ultima sortita al museo antropologico, di cui si
parla un gran bene. Mi chiamano mentre sono ancora in alto mare con i
preparativi, maledico salmodiando i primi santi del calendario la ristrettezza delle ore di sonno e mi
abbandono al mio destino, nel quale il museo proprio non ci sta. Qualche ora
dopo scopro che il museo di lunedì è chiuso e penso con un ghigno a cosa avrei
fatto se mi fossi scapicollato per unirmi alla comitiva. Il mio programma per
oggi è molto più modesto: giretto in centro finchè si può e poi tutti a casa.
Per non tradire la tradizione del gruppo, impieghiamo un’oretta per radunare i
partecipanti, prendiamo il nostro pullmino da 12 che ci scarica davanti alla
cattedrale. La visita lascia perplessi
un po’ tutti, si tratta di un chiesone totalmente rinnovato, probabilmente del
tutto simile alla vostra parrocchia o a quella vicina. Passiamo all’altro lato
della piazza: Palacio Nacional. Un bel palazzo coloniale un po’ decaduto ma
con una sua sincera dignità. Purtroppo appena entrati uno dei nostri companeros
lo equipara al palazzo del film Il dittatore dello stato libero di Bananas e
per tutta la visita il fato mi ha costretto a canticchiare la colonna sonora (quiero una noche, quiero...).
Intendiamoci bene, vette tale incommensurabile classe cinematografica non sono
quasi più state toccate.
Esaurita la canzoncina, lo stomaco brontola. Il
contesto in cui siamo non è propriamente dei più amichevoli. A parte il caldone
umido che rende i nostri passi pesanti un discorso di Monti, non è chiaro il
confine tra i mendicanti e i ladruncoli. Nel dubbio, con una certa frequenza
veniamo avvicinati da personaggi con un chiaro interesse per il nostro
portafoglio. Rispetto alle nostre abitudini milanesi, qui le richieste sono però molto più
pressanti e, cosa ancora più affascinante, l’affetto che viene dimostrato nei
nostri confronti non scema neppure sotto i colpi delle monetine. Mi sa che la notizia della
nostra simpatia si è diffusa più veloce dell’aumento del debito pubblico. In questo contesto, scegliamo per il pranzo un improbabile Pollo Indio, locale lungo e stretto
ancora più caldo del normale, dove le pale che girano al massimo (uè furbetto, ho scritto senza doppie, eh) al massimo creano un effetto scirocco
che ti fa rimpiangere McDonald’s. All’inizio, di dieci che siamo solo due si azzardano a
mangiare, per gli altri solo bibite ghiacciate. Di questi, uno ha probabilmente gli
anticorpi sviluppati in anni passati in Sudamerica, l’altro ha l’incoscienza
scritta in fronte. Ovviamente, in omaggio al più famoso aforisma di Oscar Wilde,
impiego 2 minuti per farmi convincere dalle lodi della cucina salvadoregna e
alla sua presunta provenienza da allevamento ruspante. Comunque sia, il pollo è
effettivamente buono, la reazione di Montezuma per il momento non c’è stata, ma per questo sappiamo che i tempi sono ignoti. Quiero una noche quiero ...
Ultima meta, la tomba di
monsignor Romero. E’ nella cripta della cattedrale, in un luogo un po’ strano.
Non si paga biglietto, non ci sono spazi di accoglienza, c’è invece un grande
spazio vuoto centrale e la tomba in fondo a destra. Bassa, in marmo scuro, a
richiamare il viso e la figura come per permettere di ricordarlo ancora a chi lo aveva
conosciuto. All’altezza del cuore, una pietra rossa. Tutto sommato, considerando che si tratta della
figura più rappresentativa della storia recente del paese, è un’opera modesta e
assolutamente lontana dal kitsch, qualità che non avrei riconosciuto a questa
popolazione, che probabilmente non sono stato in grado di decodificare in
maniera soddisfacente nel corso di questa settimana.
La nostra visita, complice il
caldo e forse anche il prossimo rompete le righe, si conclude a ritmi davvero
pachidermici. Dopo un'attesa di mezzoretta, in cui tutti si abbandonano mollemente su muretti e scalini, arriva il pullmino che ci riporta in albergo e da qui all'aeroporto. E’ proprio ora di tornare. Quiero una noche, quero ...